Di Laurenza Piera –
Quando una lingua può diventare una formula magica segreta
Quante volte abbiamo detto: “Per me questo è arabo!” quando di fronte a noi vi era qualcosa di davvero incomprensibile. Una volta una mia compagna, quando le dissi che studiavo questa lingua, mi chiese: “Ma l’arabo è proprio arabo?”. Ebbene sì! Basta cercare un testo a caso, anche solo una frase, per notare la prima differenza tra una lingua come l’arabo e la nostra: la scrittura! Eppure, sebbene con tanto impegno e dedizione, avvicinarsi ad un mondo così apparentemente distante non è una missione impossibile.
Ricordo ancora la mia prima lezione di arabo. Aula enorme, superaffollata, con studenti seduti in ogni minimo spazio ancora libero. Tutti con lo stesso entusiasmo ma soprattutto con la stessa curiosità di conoscere una lingua così diversa e lontana dalla propria. Chi si avvicina allo studio di un idioma di tale tipo sa bene che basta poco per trasformare l’entusiasmo in frustrazione… o passione!
Tuttavia, imparare a comprendere e produrre testi orali e scritti in arabo può presto renderti una sorta di usciere che possiede una chiave speciale, capace di aprire porte altrettanto particolari. Se poi si decide di utilizzare questa “peculiarità” nel mondo dell’interpretariato e della traduzione, è possibile trasformarsi altresì in un “missionario” che accompagna altri a varcare porte e confini apparentemente irraggiungibili.
La prima porta è sicuramente di tipo professionale. L’arabo è, infatti, una lingua che conta circa 221 milioni di parlanti, la quarta più parlata al mondo dopo cinese, spagnolo e inglese. Inoltre, è lingua ufficiale delle Nazioni Unite, che hanno istituito, tra le varie iniziative, la “Giornata della lingua araba”, con ricorrenza il 18 dicembre. In tale giorno del 1973, l’Assemblea Generale approvò l’arabo come sesta lingua ufficiale dell’Onu e tale giornata internazionale viene tuttora celebrata con l’obiettivo di sottolineare il contributo culturale offerto al mondo intero da una “semplice” lingua. Non da ultimo, tra i Paesi in cui l’arabo è lingua ufficiale, ve ne sono alcuni di interesse economico per il mondo intero, in primis per motivi legati al cosiddetto “oro nero”.
La seconda porta ti conduce, invece, alla scoperta di un mondo mistico e affascinante. Tradurre ed interpretare l’arabo significa aprire orizzonti, più di qualsiasi altra lingua, significa rompere barriere e pregiudizi, per far sì che il proprio interlocutore non venga immediatamente etichettato come un “militante dell’ISIS” soltanto a causa della propria provenienza o religione, e per far capire che, in fondo, si ha così tanto in comune da poter condividere.
Nonostante ogni Paese arabofono abbia il proprio dialetto, l’arabo standard moderno viene impiegato ampiamente in ambito istituzionale e nel mondo dei media. Quindi, al di là di conferenze di vario tipo e missioni in ambasciata, un traduttore di arabo può diventare un missionario anche nell’ambito dei mezzi di informazione. Numerosi Paesi arabofoni sono, infatti, al centro di diverse questioni che caratterizzano l’intero scenario della politica internazionale e che, pertanto, assumono una notevole risonanza mediatica.
Tradurre quotidiani può offrire la possibilità di comprendere una determinata notizia dalla fonte primaria, andando altresì a scoprire dettagli che i media di altri Paesi, nel nostro caso non arabofoni, non riescono a veicolare. Dettagli che, talvolta, possono sembrare insignificanti ma che, in fondo, possono suscitare curiosità e interesse, magari anche per un’azienda che opera in un determinato Paese e che necessita di venire a conoscenza di ogni singolo evento, in ogni minimo particolare.
Tuttavia, tradurre notizie dall’arabo, dai quotidiani locali, porta con sé alcune difficoltà. Innanzitutto, spesso si è di fronte a questioni delicate e ad un mosaico di relazioni ed intrecci difficili da districare.
Tali tematiche vengono spesso trattate con la lente del giornalista, che deve rispondere anche ad una linea di pensiero generale del quotidiano per cui lavora o del Paese per cui scrive. In più, il linguaggio dei media ha le proprie peculiarità ed anche con l’arabo vi sono termini difficili da rendere nella lingua di arrivo con il proprio esatto significato, a causa dell’assenza di un corrispondente diretto, oppure ci si può imbattere nel caso contrario, ovvero un termine troppo generico in arabo, che trova diversi corrispondenti nella lingua d’arrivo. Non da ultimo, la struttura sintattica dell’arabo non consente una traduzione letterale che sia facilmente fruibile, e spesso è necessario costruire una nuova frase, rendendo semplicemente il significato dell’originale.
Tradurre quotidiani arabi richiede, dunque, accuratezza e precisione attraverso un’attenta analisi di revisione. La domanda che a volte ci si pone è: “Ma è davvero questo ciò che la fonte originale vuole trasmettere?”. Se possibile, poi, è necessario “bilanciare” quanto scritto, magari consultando la medesima notizia su diverse fonti, così da offrire un quadro generale senza veicolare alcuna tendenza specifica. Tradurre notizie dall’arabo richiede, infine, tanta informazione sulle dinamiche dello scacchiere politico internazionale, in modo da comprendere fino in fondo ciò che si sta raccontando, senza perdersi nei meandri di questioni delicate.
Alla fine del lavoro si ha, però, la consapevolezza di essere stato d’aiuto per qualcuno, quel qualcuno che desiderava avere più informazioni su un determinato evento ma che non aveva gli strumenti necessari per farlo. Così, tradurre news dall’arabo consente di svelare il significato di quei “segni” talvolta strani ma che in realtà possono rivestire una grande importanza, permettendo a tutti di scoprirne il segreto.
Concludo con un passo tratto da un libro che può aiutare a far comprendere il senso della “missione” a cui ogni interprete e traduttore cerca di adempiere:
“Quando l’uomo si mostrò protervo, Dio distrusse la Torre di Babele, e tutti cominciarono a parlare idiomi diversi. Ma nella Sua infinita grazia, creò un genere di persone che avrebbe edificato dei ponti per comunicare, consentendo il dialogo e la diffusione del pensiero. Ecco: è proprio un ponte quell’uomo – o quella donna -di cui raramente ci preoccupiamo di conoscere il nome quando apriamo un libro straniero: il traduttore”.